Famiglia e professionisti: un equilibrio difficile

Il rapporto che intercorre la famiglia e i professionisti.

L’esigenza di instaurare un rapporto di fiducia e complicità per la persona con disabilità si fa sempre più insistente soprattutto nel passaggio verso l’età adulta.

Molte volte questo cammino può risultare difficile perché tra le mani abbiamo un qualcosa di altamente fragile che richiede attenzione e cure costanti.

Giorno per giorno va nutrito, non segue un programma e il professionista in alcune occasioni si trova a navigare in un mare in tempesta.

Ne parliamo con il Dott. Pietro Berti, psicologo e ideatore del metodo Coach Familiare di esprimere le proprie opinioni riguardo al rapporto che intercorre tra la famiglia e i professionisti.

 

Perché, ad oggi, molte persone con disabilità vivono in casa con le loro famiglie e non in strutture residenziali apposite?

Pietro Berti risponde: le motivazioni possono essere molte.

In primo luogo perché le strutture sono poche in relazione al numero di persone che ne avrebbero bisogno.

In secondo luogo, spesso queste strutture sono viste come la soluzione per il “Dopo di Noi” e non sempre vengono usate per il “Durante Noi”.

Mi spiego meglio: le persone con disabilità fin da giovani dovrebbero fare delle esperienze fuori casa di allenamento alle autonomie, di prove di convivenza con altre persone.

Potrebbero quindi continuare a vivere in casa, ma con dei periodi, più o meno lunghi, passati in altri contesti.

Questo permetterebbe loro di prepararsi al futuro, ad essere meno rigidi in alcuni comportamenti, a saper stare in una vita di comunità.

Purtroppo le strutture per queste esperienze sono pochissime, sono di più i posti residenziali permanenti.

E a volte la scelta della famiglia è: o tutto o niente. O lasci tuo figlio, oppure lo tieni a casa.

Dobbiamo lavorare tutti perché questa tendenza si inverta.

 

E’ anche vero però che spesso le famiglie fanno fatica a “far andare via” i figli…

A questa domanda Pietro Berti risponde:

Per esperienza personale e lavorativa ho avuto modo di vedere che le famiglie fanno ancora molta difficoltà a “lasciar andare” i propri figli e questo si deve all’estrema convinzione che molti genitori hanno di essere gli unici in grado di averne cura.

Ma è importante sottolineare che il processo di affidamento non consiste nell’“abbandonare” il figlio e quindi “liberarsi” del problema, bensì affidare in mani sicure il futuro del proprio figlio, affinché sia il più sereno possibile.

Soprattutto bisognerebbe affiancare i genitori e abituarli a distaccarsi dall’idea di essere genitori esperti della disabilità del proprio figli ed è bene sottolineare che in queste situazioni così delicate ognuno ha la sua storia.

 

Quanto è importante trovare un equilibrio tra i professionisti e la famiglia di persone con disabilità? E quanto è difficile?

È estremamente importante!

Ora come ora di fronte abbiamo una mancata collaborazione e cooperazione tra famiglia e professionisti, in quanto in casa è la famiglia a trasmettere le proprie “regole” e creare le proprie abitudini, mentre in struttura questo compito viene affidato al team dei professionisti.

Questo, infatti, genera un grande scompenso, in quanto la persona con disabilità, una volta tornata a casa, si trova a doversi riadattare ad uno schema diverso da quello seguito nelle ore precedenti.

Tra l’altro è difficile andare alla ricerca di professionisti, che seguono il ragazzo a domicilio oppure se ci sono vanno a ricoprire un numero di ore estremamente inferiore a quelle necessarie.

 

Perchè ci sia collaborazione e cooperazione, trova più giusto che questa venga dalla famiglia o dai professionisti?

Avere un equilibrio è importante.

La famiglia in primis dovrebbe cercarne uno suo interno.

Dovrebbe essere più disponibile e avere l’opportunità di essere affiancata e seguita.

Ad esempio: se si pensa ad una famiglia che manifesta determinate problematiche e ha il proprio ragazzo con disabilità, che trascorre la maggior parte delle ore della giornata nel centro diurno, ha la necessità di avere supporto nel rientro a casa.

La metodologia del Coach Familiare è nata proprio con questo scopo: supportare persone e/o famiglie “fragili”, in modo tale da offrirgli gli strumenti necessari per affrontare in maniera serena ed efficiente questo tipo di situazioni.

 

Questo mancato equilibrio può dipendere in qualche modo da una comunicazione poco chiara?

Pietro Berti conclude le sue riflessioni, rispondendo che: è bene premettere che, se questo equilibrio manca, la colpa è sempre di entrambi, però non bisogna sottovalutare alcune disattenzioni da parte dei professionisti in certe occasioni.

Faccio un esempio: se durante il periodo del centro diurno si lavora con la persona con disabilità all’acquisizione e raggiungimento delle autonomie, quali lavare i piatti dopo pranzo, è importante che il team riferisca determinate informazioni alla famiglia.

Dall’altra parte però, la famiglia ha il compito e dovere di continuare il lavoro acquisito, così da camminare l’uno di fianco all’altro, andando entrambi nella stessa direzione.

 

Conclusioni sulla base delle opinioni espresse dal fondatore del metodo del Coach Familiare

È importante e fondamentale andare alla ricerca di un equilibrio, che ad oggi sembra essere tutto concentrato sul professionista, il quale conosce bene la carenza di strutture diurne e residenziali, e che quindi la famiglia sarà disponibile a tollerare molto.

Ma affinché si generi un cambiamento ci deve essere collaborazione, in modo tale da mettere in atto un percorso, il quale possa portare al raggiungimento degli obiettivi e della serenità, che ogni famiglia ha il diritto di ricevere.

 

Photo by Tyler Nix on Unsplash

 

 

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