Sport nella disabilità: mezzo di accrescimento personale e comunicazione
Fra i fattori che contribuiscono a definire una vita “sana” c’è senza dubbio il movimento fisico, il praticare uno sport.
Lo sport è salute per tutti gli individui perciò, nelle persone con disabilità, dovrebbe diventare il fattore trainante della loro vita, in modo tale che la disciplina sportiva migliori le condizioni fisiche e sociali.
Esso non rappresenta solo uno strumento di recupero e benessere psicofisico, ma è anche un efficace strumento di integrazione sociale.
L’attività sportiva consente, nelle sue diverse tipologie, di svolgere un’attività motoria dalla quale deriva una migliore conoscenza del proprio corpo, un’adeguata percezione dello spazio e del tempo, un miglioramento dell’equilibrio e della coordinazione motoria in generale.
Purtroppo, però, lo sport e la possibilità di avviamento alla pratica sportiva per le persone con disabilità, sono strumenti educativi concreti ancora poco utilizzati.
Sport e accresimento personale nel disabile
Se si osservano bambini o persone adulte con ritardo mentale e si studia da vicino il loro comportamento, ci si accorge frequentemente della loro incapacità o difficoltà ad eseguire gesti elementari come i movimenti delle dita o il camminare seguendo un ritmo; ciò si traduce in una loro impossibilità di riprodurre senza errori le proprie percezioni visive e uditive.
Si comprende allora come senza un’educazione di base non si possa ottenere alcun progresso significativo. Si tratta dell’Educazione Psicomotoria, di cui ne parlano Louis Picq e Pierre Vayer in un loro importante lavoro Educazione psicomotoria e ritardo mentale, ad essere indispensabile nei casi di disabilità intellettiva.
L’educazione psicomotoria
L’educazione psicomotoria permette, attraverso esercizi mirati, di far acquisire a chi è colpito da ritardo mentale o disabilità fisica, quello che il normodotato acquisisce naturalmente e senza sforzo grazie agli stimoli ambientali e contestuali.
Se all’interno di un qualsiasi piano educativo, specie se esso è finalizzato ad una persona con disabilità, non viene considerata e quindi inserita l’attività motoria è perché in realtà non si conosce la sua importanza per lo sviluppo globale dell’individuo.
Le competenze di base che si acquisiscono con un’efficace educazione psicomotoria sono ad esempio “coscienza e controllo del proprio corpo, controllo delle condotte motorie di base e controllo delle condotte percettivo-motorie”.
Pensiamo a un caso di deficit motorio in concomitanza ad ansia ed inibizione: quanto potrebbe essere importante la pratica sportiva finalizzata a suscitare nella persona la consapevolezza di sè e la fiducia verso il proprio corpo?
Senza la percezione del proprio corpo, il deficit motorio rimarrebbe immutato o peggio andrebbe incontro ad una fatale regressione. Allora molti
Disturbi motori gravi non sono forse, in parte, la conseguenza di inibizioni che aggiungono il loro effetto alla mancata utilizzazione delle percezioni?
Il movimento: la via maestra per esprimersi, comunicare e comprendere.
Per dirla con le parole di un grande studioso vivente, Andrea Canevaro, tratte dal suo libro L’integrazione scolastica degli alunni con disabilità, trent’anni di inclusione nella scuola italiana:
il movimento rappresenta la via maestra per esprimersi, comunicare e comprendere. Questo nella consapevolezza del fatto che l’uomo non manifesta il suo essere soltanto attraverso le forme del pensiero, ma sempre contemporaneamente, attraverso le modalità di muoversi, del vedere, del percepire, del fare. Il movimento risulta il primo normale effetto di un’esperienza intellettiva e/o emotiva […].
L’educazione, quindi, non è riducibile al semplice processo di socializzazione, ma deve avere l’obiettivo di potenziare le capacità individuali presenti, permettere l’acquisizione di nuove capacità, integrare contesti di vita rendendosi quindi fondamentale nell’intervento rivolto alla persona con disabilità.
Educare attraverso il movimento
Educare attraverso il movimento è importante sin dai primi anni di vita del bambino e permette di migliorare la sua qualità di vita.
Lo sport permette di conoscere correttamente il proprio corpo e agevola il processo di conoscenza della propria identità personale e di acquisizione di competenze che permettono di comunicare con gli altri e con il mondo che lo circonda.
Lo sport per la persona con disabilità è quindi l’esaltazione delle sue capacità di ciò che sa fare e di ciò che sa essere; è motivo di emancipazione e accrescimento personale, di percezione della propria efficienza e dà vita ad un ambiente ricco di stimolazioni significative.
Oltre al benessere fisico, allo sviluppo cognitivo conseguente all’apprendimento motorio, alla socializzazione conseguente all’integrazione nel mondo sportivo, vi è un miglioramento dell’autostima: la persona con disabilità può, tramite lo sport, riconoscere le sue capacità in un mondo che sempre gli ricorda ciò che non è in grado di fare, di essere e ciò che gli manca!!
Promuovendo la pratica sportiva per persone con disabilità, tali attività non si limitano così solo ad ambiti dove si svolgono esclusivamente interventi di mera riabilitazione o attività sportive separate solo “per i disabili”.
Il valore comunicativo e integrativo dello sport
Per la persona con disabilità lo sport è il primo passo decisivo verso l’integrazione sociale perché costringe l’individuo ad interagire con l’ambiente in maniera sicuramente molto più complessa rispetto a quanto richieda la vita di tutti i giorni.
Facilita l’inserimento nella famiglia, nella scuola, nel lavoro, stimola ad uscire dal proprio isolamento e quindi a ritrovarsi con gli altri, ad associarsi accettando categorie comuni di valori, permette di acquisire il senso della partecipazione sociale abituando l’individuo ad assumersi le proprie responsabilità.
L’appartenenza ad un gruppo o ad una squadra sportiva favorisce nelle persone con disabilità l’adozione di determinati ruoli, rafforzando in loro l’identità personale attraverso la conoscenza degli altri.
Negli sport di squadra, infatti, viene stimolata la crescita attraverso il gruppo, nonché la valenza formativa e le occasioni di apprendimento che si verificano al suo interno.
Nelle persone con disabilità le frustrazioni sono permanenti e per essere superate in qualche modo è necessaria la socializzazione: così come il soggetto rimane frustrato quando si rende conto che non è al pari con altri, così è necessario aiutarlo, sollecitarlo, spingerlo a partecipare con gli altri a gare sportive non per vincere ma per partecipare alla gara essendo già questo un successo.
Questa forma di terapia del successo, si contrappone alla vecchia terapia che tende solo a medicalizzare isolando.
Il messaggio dei giochi paraolimpici
Uno spunto di riflessione sulla valenza educativa dello sport e sul binomio corporeità/disabilità ci viene fornito dal fenomeno culturale e sociale dei Giochi Paralimpici.
Essi rappresentano una parte della storia dell’inclusione sociale dei disabili, quella che riguarda la loro “pagina sportiva”, una storia segnata dal contributo di personalità straordinarie che hanno aperto nuove dimensioni alla disabilità a partire proprio dalla corporeità.
La corporeità del disabile nello sport presenta immagini positive, di piena integrazione, di dinamismo e di partecipazione sociale, come quelle offerteci attualmente per esempio dall’amatissima Bebe Vio o dall’ex pilota di Formula Uno Alex Zanardi.
Queste immagini positive, dove la dimensione corporea è in primo piano, possono aiutare a far maturare la comprensione che la disabilità e la diversità, anche nella corporeità, caratterizzano intrinsecamente e trasversalmente l’essere umano.
Lo sport costituisce una delle più nobili espressioni dell’animo umano, è cura, è amicizia ma soprattutto è espressione affascinante di umanità, conquista e coraggio!!!!!
Quale ruolo potrebbe avere il coach familiare nel rapporto tra sport e disabilità?
Se si riconosce allo sport la sua valenza educativa e formativa allora diventa necessario che ogni operatore si adoperi affinché tutto ciò sia realizzabile, e questo mondo non ancora del tutto esplorato diventi un’opportunità da cogliere per ogni persona disabile.
In questo contesto si inserisce la possibile azione del Coach Familiare che, intuendo l’opportunità di indirizzare il disabile verso un tale percorso, svolga un’azione di educazione e sensibilizzazione sia nei confronti della persona stessa che nella famiglia, proponendo, qualora il caso in esame lo permettesse, di inserire all’interno del progetto di lavoro anche l’avviamento alla pratica sportiva.
L’azione del Coach dovrebbe mirare a far si che tutti raggiungano la consapevolezza e la convinzione che lo sport può dare moltissimo e per alcuni versi risulta essere un percorso irrinunciabile in grado di far raggiungere risultati che altre azioni difficilmente sarebbero in grado di offrire.