Violenza di genere e tendenza a giustificare l’autore

La tendenza a giutificare l’autore della violenza

Quando si parla di violenza di genere, dovrebbe essere scontato che chi paga le conseguenze di determinate azioni è una vittima, ma non tutte si sentono tali.

Secondo un’indagine ISTAT del 2006, i motivi principali che inducono a non denunciare gli abusi domestici, sono la convinzione di farlo per il bene dei figli e l’illusione di aver il potere per cambiare questi atteggiamenti violenti.

Una ricerca fatta come tesi di laurea in Psicologia presso l’Università di Chieti-Pescara ha affrontato, fra gli altri, anche questo argomento.

Dai racconti di alcune persone, in effetti, emerge la tendenza a giustificare chi esercita violenza assumendo un atteggiamento remissivo e passivo per amore, o addirittura per dare un senso a gesti immotivati.

 

Le differenti percezioni delle vittime di violenza 

Alla domanda:

Ti sei mai sentita/o responsabile più che vittima? Ti sei mai data/o delle colpe?”

le risposte riportate risultano essere differenti:

Giovanna (nome di fantasia) si definisce “consapevolmente vittima” e dichiara che i fattori che le hanno fatto sopportare le violenze da parte dell’ex marito sono in primis l’amore e il senso di protezione verso i figli.

Si descrive come una persona buona e rispettosa, pur non riuscendo a trovare una giustificazione nelle violenze subite, se ne attribuiva una parte di responsabilità.

Francesca spiega che l’unico motivo che l’ha spinta a giustificare le ripetute manipolazioni e i continui insulti da parte dell’ex fidanzato, è stato l’affetto e l’amore che credeva di provare nei suoi confronti e che solo in un secondo momento ha capito che il rapporto e il bene verso qualcuno avessero un significato e ruolo secondario rispetto alla sua carriera.

Ci sono ancora molti casi di persone incapaci o timorose di guardare oggettivamente la realtà, restando passive ed inermi dinanzi ad atteggiamenti violenti e ingiustificati.

Ricordo il caso di Alessia, una madre che ammette quanto giustificare continuamente i comportamenti dell’ex marito, l’abbia trascinata a vivere una situazione dal suo punto di vista insostenibile:

Lui era onnipresente con me, anche quando cercavo di allontanarlo, c’era sempre, mi dava tante attenzioni quindi a volte mi sentivo in colpa.

Col senno di poi, ammette di essere caduta in una trappola, in quanto giustificare la violenza l’ha portata ad essere sempre più invischiata in un rapporto che, con il passare degli anni, è difficile da spezzare.

 

La tendenza a giustificare: il primo sintomo di qualcosa che non funziona

Negli ultimi anni fortunatamente la sensibilizzazione verso il problema della violenza di genere è aumentata notevolmente, grazie a tutta una serie di azioni anche clamorose (pensiamo ad esempio al movimento mondiale “me too” e alle sue conquiste).

Nonostante le numerose azioni di sensibilizzazione e sostegno però, spesso le vittime tendono ancora a giustificare chi esercita violenza.

È proprio questo l’elemento importante che salta all’occhio: la tendenza a giustificare da parte delle vittime è il primo sintomo che qualcosa non va all’interno di una relazione.

 

Maggiore attenzione ai racconti delle vittime

Maggiore attenzione deve essere data ai racconti delle vittime, non tanto nel prendere alla lettera quanto dicono, ma nell’individuare la “tendenza a giustificare” come cartina di tornasole.

Non sempre ci si può basare solo sulle dichiarazioni dalle vittime; spesso le persone intervistate tendono a raccontare le situazioni da un punto di vista molto soggettivo e che può non corrispondere alla realtà per un lungo periodo.

Detta in parole povere: quando una donna giustifica il proprio aguzzino con frasi del tipo:

Ma no, è solo che ogni tanto perde la pazienza… ma mi ama tanto! E poi mi ha chiesto scusa.

bisogna subito attivare una rete di protezione: avvisare amici, parenti, persone che possono seguire da vicino la situazione e sostenere la donna.

Ripenso alle parole di Maria che, ripensando al divorzio e alle violenze subite, afferma che oggi non lo rifarebbe perché:

Prima o poi gli sarebbe passata, rompeva qualche porta, qualche mobile… ma gli sarebbe passata!

Nessuno dovrebbe sentirsi in diritto di esercitare violenza o provare a minare la libertà di un altro individuo: in tal caso chi subisce determinati atteggiamenti dovrebbe raggiungere la consapevolezza che si è vittime e non responsabili, sfruttando il primo campanello d’allarme per chiedere aiuto o trovare una via di fuga.

Il ruolo dei professionisti e dei Coach Familari può quindi risultare fondamentale nella fase di ascolto dei racconti delle vittime di violenza e di stalking, soprattutto nell’individuare la loro “tendenza a giustificare”.

Foto: R. Magritte, Gli amanti 1928 (MoMA di New York)

 

 

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