Donne disabili in Italia: i numeri
In Italia le donne disabili rappresentano una parte importante della popolazione.
Per quanto riguarda le limitazioni gravi, secondo lo studio dell’Istat, il 54,6% delle persone con disabilità è composto da donne sotto i 64 anni.
I dati che le riguardano riflettono la situazione che stanno vivendo nel nostro Paese, per esempio, il 17,1% di loro non riesce a raggiungere il diploma, anche se sul dato influisce l’età della popolazione.
Solo dagli anni ’70 infatti la scuola italiana si è dotata di una struttura più definita per l’insegnamento ai diversamente abili.
Un ambito che riporta numeri preoccupanti è quello che riguarda le violenze sulle donne con disabilità nel nostro Paese: stando a quanto riportato dall’associazione DifferenzaDonna, fra il 2014 e il 2018 sono stati almeno 143 i casi di violenza sulle disabili, che al tempo dei fatti avevano un’età media di 37 anni.
I teatri di questi episodi sono stati spesso i centri di accoglienza e le case rifugio, con questi percentuali:
- 71% delle donne considerate dallo studio ha denunciato violenze psicologiche
- 65% violenze economiche
- 63% violenze sessuali perpetrate da sconosciuti, conoscenti e persino familiari.
Oltre a DifferenzaDonna, altre associazioni che si dedicano al sostegno delle disabili sono:
- l’associazione Frida, tramite il progetto Aurora;
- ANMIC – Associazione nazionale per la tutela di persone con disabilità, che di recente ha pubblicato il Secondo manifesto sui diritti delle donne e delle ragazze con disabilità nell’Unione Europea, adottato nel 2011 presso l’assemblea generale del Forum Europeo sulla disabilità;
- FISH – Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap;
- AIAS – Associazione Italiana Assistenza Spastici, attraverso il gruppo “Nessun’altra”;
- Comitato di donne con disabilità dell’European disability forum!
La discriminazione dei disabili
La tematica della progettazione di un’offerta formativa di qualità dedicata alle persone disabili, che permetta loro un futuro di inclusione sociale, si pone fin dai primi anni del percorso di istruzione.
La scuola non ha, per esempio, un numero sufficiente di maestri e professori abilitati al sostegno scolastico tale da coprire le reali esigenze dei ragazzi.
Molti docenti sono in fase di abilitazione o non sono di ruolo e questa discontinuità può generare situazioni di disagio negli studenti.
La mancanza di pari opportunità inficia i risultati dei ragazzi: in base allo studio Istat già citato, solo il 21,7% dei disabili che nel 2017 avevano superato i 25 anni era riuscito ad ottenere il diploma.
Le cifre non migliorano quando si parla di lavoro: gli occupati con limitazioni gravi sono l’11,1% del totale e in pochi sono alla ricerca attiva (il 7,8%).
Oltre allo studio, nelle attività legate al tempo libero è facile riscontrare problemi, soprattutto a causa delle barriere architettoniche. Molti edifici storici non sono idonei a ospitare persone disabili o non adottano le necessarie misure di ristrutturazione.
I trasporti sono un ulteriore ostacolo, perché non sempre presentano rampe o elementi che facilitano lo spostamento in autonomia e, talvolta, non sono funzionanti.
Tutti questi elementi vanno a incidere sulla qualità della vita degli interessati, che si vedono costretti a chiedere aiuto anche per attività che potrebbero e vorrebbero compiere da soli, come prendere un autobus.
Donne disabili e lavoro
Nella ricerca di un’occupazione le diversamente abili risultano svantaggiate: solo il 26,7% dei disabili lavoratori è donna e molto spesso si trova a dover combattere con difficoltà legate agli spazi inadeguati e alle mansioni da svolgere.
La differenza occupazionale tra uomini e donne con disabilità è pari al 17,4%, tanto che il Comitato ONU per i Diritti di persone disabili è intervenuto per chiedere all’Italia una maggior attenzione sul tema.
I disabili possono iscriversi al collocamento mirato per essere agevolati nella ricerca di lavoro: le aziende infatti hanno l’obbligo di assumere personale diversamente abile in percentuali diverse a seconda della loro grandezza.
In genere sono i lavori d’ufficio quelli più seguiti dai e dalle disabili.
La percentuale di disabilità del lavoratore e l’idoneità dell’ambiente di lavoro (deve poter essere raggiungibile e senza barriere architettoniche, per esempio) sono i due principali elementi da prendere in considerazione per stabilire se un ambiente è adatto.
Un esempio virtuoso è quello del settore della ristorazione: molte associazioni supportano i più giovani (in particolare nel caso di disabilità cognitive) nella formazione e gestiscono con loro attività come bar o ristoranti.
Donne disabili e maternità
Per le donne disabili la gravidanza è un momento speciale, come per qualsiasi altra mamma, nonostante siano necessarie alcune attenzioni in più: le visite a cui le donne disabili si sottopongono prima del parto possono essere effettuate da ginecologi esperti nel tema, come quelle ad esempio dei centri di:
- Tor Vergata,
- Centro Clinico Nemo
- Ospedale Carreggi di Firenze.
La disabilità non deve rappresentare un discrimine, nemmeno per la maternità: ogni coppia e ogni donna è un mondo a sé e deve valutare con i propri medici di fiducia e con gli specialisti le possibilità di avere figli, affrontando di volta in volta le difficoltà.
Donne disabili e futuro
In una società che spesso tratta le persone con disabilità come fossero “neutre”, per queste ultime è veramente complicato e faticoso esprimere tutte le dimensioni del sé. Non c’è, infatti, tra le stesse persone con disabilità, la propensione a riflettere sui vari aspetti della vita in termini di genere, è come se la disabilità sovrastasse e coprisse tutte le altre caratteristiche della persona.
Si può comprendere, dunque, che la parità di genere – quale indicatore più significativo del superamento delle discriminazioni che colpiscono le donne con disabilità –, sia ben lontana dall’essere raggiunta, e che la situazione generale delle multidiscriminazioni, subite dalle donne disabili, si mostri in tutta la sua criticità.
Dunque, quali interventi mettere in atto per raggiungere quel “mainstream gender” (approccio di genere a largo spettro) che promuova e, si spera, realizzi pari opportunità e pari dignità in ogni ambito della vita sociale, politica ed economica?
Premesso che – come si è detto – molto spesso le donne disabili stentano a riconoscere le discriminazioni e le violenze che le colpiscono con l’aggravante della intersezionalità, un importante lavoro andrebbe svolto all’interno delle associazioni di persone con disabilità.
Sarebbe proficuo discutere e approfondire molti aspetti importanti per lo sviluppo di consapevolezza, quali:
- riconoscimento delle diverse forme di discriminazione
- autonomia ed potenziamento delle capacità e dell’autostima
- autocoscienza e autodeterminazione in ogni aspetto dell’esistenza
- possibilità di scegliere di intraprendere un percorso di vita indipendente
- orientamento all’istruzione, all’attività lavorativa e a quella politica
- educazione all’affettività, alla sessualità e alla vita riproduttiva
- riconoscimento delle violenze e la conoscenza dei servizi rivolti alle vittime (dalla richiesta di aiuto alla denuncia)
- individuazione e la destrutturazione dei pregiudizi e degli stereotipi che colpiscono le donne con disabilità.
Un simile impegno potrebbe essere affiancato sinergicamente da figure competenti delle associazioni femministe, utilizzando la loro ampia e pluriennale esperienza maturata nell’indagare le questioni di genere.
Queste ultime, a loro volta, acquisirebbero fondamentali conoscenze sulla vita delle donne disabili.
Un’altra importante area d’intervento: genitori e famiglie
Un’altra importante area di intervento riguarda i genitori e le famiglie di figlie e figli disabili.
Spesso, alla nascita o nei primi anni di vita di una figlia/o disabile, l’urgenza di affrontare gli aspetti sanitari rischia di mettere in un cono d’ombra la vita stessa del figlio/a.
I genitori si devono cimentare con così tanti problemi di ordine medico, spesso pressanti, ed impegnarsi a trovare strategie di adattamento delle rispettive esistenze in seno alla famiglia, che l’idea stessa di un’educazione alla vita disabile viene accantonata, trascurando conseguenzialmente anche gli aspetti della:
- socializzazione
- relazioni
- sfera affettiva, ecc.
Tuttavia, sarebbe importante che i genitori trovassero sempre, nella rete dei servizi sociosanitari coinvolti, come pure nelle associazioni delle persone con disabilità, figure di sostegno, orientamento e accompagnamento utili ad alleggerire il loro gravoso impegno genitoriale, e ad arricchirlo con le competenze di figure educative specializzate.
La strada più efficace
La strada più efficace da percorrere sembra quella di realizzare servizi integrati che includano le competenze e le esperienze acquisite in materia di violenza e discriminazioni, e quelle relative alla disabilità nella sua varia fenomenologia.
Un altro ambito di rilevanza strategica è quello culturale.
In relazione ad esso, è vitale che:
- tutti i mezzi di comunicazione e informazione
- gli/le opinion makers
- il giornalismo
- chi opera nei settori della pubblicità, dell’arte, della cultura, della scienza e dello sport
si impegnino per veicolare una rappresentazione delle donne e in particolare delle donne disabili come soggetti attivi, partecipe dei processi sociali, portatori di potenzialità e mezzi e, naturalmente, di diritti.
Non si può non desiderare un cambiamento epocale nell’immaginario collettivo che sancisca il definitivo superamento dell’approccio compassionevole e assistenziale nei confronti della persona con disabilità, e ne promuova uno nel quale essa diventi una figura attiva e propositiva, determinata a esprimere interamente la propria dignità e la cittadinanza.
Infine, non possiamo ignorare che il grande ed impegnativo lavoro di acquisizione di una maggiore consapevolezza e autoconsiderazione investe ogni singola donna: un impegno sicuramente faticoso ma inevitabile, che va incoraggiato assicurando in ogni modo prossimità e sorellanza.
ph. da pexels ELEVATE