Perché iscriversi al corso sulla metodologia del coach familiare

Perchè ho deciso di fare il corso “Autismo e disabilità: gestire le situazioni problematiche e programmare il Dopo di Noi; la metodologia del Coach Familiare”?

Scrivendo queste righe rispondo con entusiasmo alla domanda che mi è stata rivolta dal team del coach familiare: perché ho deciso di iscrivermi al corso: “Autismo e disabilità: gestire le situazioni problematiche e programmare il Dopo di Noi; la metodologia del Coach Familiare”?

 

Chi sono e perchè mi sono iscritta al corso

Sono Maria Grazia Agostini. La mia risposta è questa: voglio avere nella mia “cassetta degli attrezzi” professionale un metodo scientificamente validato che mi permetta di coadiuvare le famiglie, ognuna nel proprio percorso di costruzione di un futuro possibile per il proprio figlio e/o caro, persona con disabilità.

Da disabile fisica, quale io stessa sono, sento forte l’esigenza di poter offrire capacità di relazione e competenza, anche scientifica, sicuramente necessaria per poter camminare fianco a fianco a quante più famiglie lo richiedano.

 

La costruzione di un progetto di vita

Tutto ciò perché la costruzione di un progetto di vita che abbia le sue radici nel desiderio del suo titolare, ci domanda di saper essere e saper fare.

Il corso: “Autismo e disabilità: gestire le situazioni problematiche e programmare il Dopo di Noi; la metodologia del Coach Familiare” è un bel modo per crescere umanamente e professionalmente.

Prima di concludere vorrei condividere con tutta la squadra una metodologia che trovo essere molto vicina al “nostro” quotidiano procedere nel lavoro: la coprogettazione capacitante.

 

La coprogettazione capacitante

Innanzi tutto questo modo di progettare è nato per dare la dimensione del desiderio a percorsi di vita di persone con disabilità che precedentemente e molto spesso ancora oggi, quando pensano al futuro si vedono istituzionalizzati per essere protetti.

La coprogettazione capacitante prende in considerazione e valorizza il punto di vista del protagonista del progetto e di tutti i suoi “altri significativi”, i quali  forniscono utilissime “lenti”, per vedere il tutto a 360 gradi.

Essa non “imprigiona” il soggetto nelle strutture “dedicate”, chiedendogli precedentemente di avere determinati requisiti per potervi essere inserito, ma segue le naturali modificazioni della vita del soggetto in questione.

 

Facciamo un esempio

Mi spiego meglio: la vita di un individuo normodotato non segue tappe prefissate ed immodificabili.

Un ragazzo che va a Londra ad imparare la lingua inglese, prima di partire pensa di laurearsi ma se, una volta giunto a destinazione, trova un lavoro e si innamora, può cambiare totalmente programma e nessuno trova in questo nulla di strano.

Normalmente tutto ciò non capita alle persone con disabilità, perché quanto le riguarda è già segnato ed improrogabile.

La coprogettazione capacitante si muove per rendere il soggetto “capitano della propria nave”, poggiandosi sulla Convenzione ONU 2006 che fa suo il principio per cui i diritti validi per qualsiasi essere umano, lo sono anche per una persona con disabilità.

 

Ringraziamo Maria Grazia Agostini per la sua testimonianza

 

 

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