Cohousing e disabilità: pensare agli spazi abitativi

Cohousing e spazi abitativi

Il Cohousing risulta ancora oggi un ambito quasi sconosciuto a molti, soprattutto quando accostato all’ambito della disabilità.

Questo avviene principalmente per due motivi: il Cohousing non è uno stile di vita tipico della nostra cultura e la disabilità risente ancora dei forti stereotipi del passato.

Risulta quindi difficile pensare che le persone con disabilità possano condividere uno spazio, ma soprattutto uno spazio in cui vivere la propria vita, aiutandosi reciprocamente.

 

Il Cohousing: uno stile di vita 

Il Cohousing è uno stile di vita nato in Danimarca nel 1964 ad opera di  Jan Gødmand Høyer, ideatore della prima co-residenza conosciuta.

Il fenomeno si diffonde velocemente in tutto il mondo grazie alla voglia di numerose persone di ritrovare la socialità perduta.

Cohousing significa infatti “vivere insieme”, ovvero vivere con altre persone e condividere con loro non solo una parte della propria vita, ma anche i propri beni e il proprio tempo.

Questa “convivenza” non è letteralmente tale, in quanto ogni cohousers, cioè colui/colei che prende parte a questo progetto, ha il proprio spazio, ovvero la propria abitazione, ma condivide con altri gli spazi comuni.

 

Gli spazi nel Cohousing

Gli spazi e le attività sono pensati dagli abitanti stessi, che sono iniziatori e ideatori del progetto.

Questo permette loro di creare un ambiente che hanno desiderato per loro stessi, e uno spazio comune che rispecchi i desiri del gruppo.

Allo stesso tempo lavorando insieme metteranno a disposizione, e avranno a disposizione, le competenze e le abilità di ognuno, che permetterà loro di rispondere ai principi di base su cui si fonda il fenomeno del Cohousing:

  • partecipazione attiva;
  • sostenibilità;
  • sviluppo della socialità.

 

I principi appena citati sono fondamentali per comprendere l’utilità del Cohousing e i vantaggi che da esso derivano.

Il mettere a disposizione degli altri le proprie competenze dà modo al gruppo di risparmiare un’eventuale spesa che avrebbe dovuto affrontare rivolgendosi ad un professionista, e permette allo stesso tempo di ricevere lo stesso trattamento dagli altri, che nei limiti delle proprie competenze sosterranno i vari bisogni del gruppo per il bene collettivo.

 

Cohousing e disabilità

Accostare il fenomeno del Cohousing alla realtà della disabilità non è di certo semplice, ma non impossibile come molti pensano.

Un primo passo importante è sicuramente quello di tener conto del tipo di disabilità con cui si va a interagire.

Esistono infatti diversi livelli di disabilità, alcune più invalidanti di altre.

A causa di questa diversità sono molti e diversi i limiti posti alle persone con disabilità, che li ingabbiano in realtà, le quali non sempre gli appartengono, rendendoli schiavi dei numerosi pregiudizi, da sempre connessi a questa condizione.

L’incapacità di svolgere delle attività è sicuramente il pregiudizio più diffuso.

Molto spesso le realtà costruite attorno alla disabilità non rispecchiano le capacità che queste persone posseggono, limitandone fortemente le loro potenzialità.

Questi sono infatti ambienti protetti, dove i caregivers si sostituiscono al loro familiare disabile nelle quotidiane attività.

Questo modo di agire risulta poco funzionale alla vita del disabile, perché lo isola e lo esclude da molte delle attività che in realtà potrebbe fare, seppur con delle limitazioni dovute alla sua condizione.

 

Perchè scegliere di vivere in un Cohousing?

Scegliendo di vivere in Cohousing, la persona disabile sceglie di riappropriarsi della propria quotidianità, supportato dall’aiuto di altre persone con cui condivide parte della propria vita.

Le possibilità che si pongono davanti ad una tale scelta potrebbero essere due, creando spazi:

  1. per soli disabili, compiendo un’analisi funzionale delle loro capacità che gli permetta di vivere insieme aiutandosi reciprocamente, ognuno nel limite delle proprie capacità;
  2. condivisi tra disabili e neurotipici.

Riappropriandosi di uno spazio personale, la persona disabile riacquista la propria indipendenza, il proprio potere decisionale e potenzialità che pensava di non possedere.

Questo è un percorso di empowerment che spesso le persone disabili devono percorrere per migliorare il loro benessere e la loro vita futura.

Tutto questo, nel Cohousing, può avvenire avendo sempre l’appoggio di persone pronte a sostenere il percorso e la persona in ogni bisogno, così come quest’ultima potrà fare quando saranno gli alti ad avere bisogno di lei, sentendosi utile anche per gli altri.

 

Come si integra il Cohousing nelle politiche italiane?

In Italia, rispetto ad altre parti del mondo, il Cohousing è ancora un’alternativa poco conosciuta quando si parla di disabilità e prospettive future.

Quando questa diventa una possibilità è quasi sempre dovuta alla volontà di privati, che hanno deciso di investire nel futuro dei loro familiari disabili.

Non è infatti inconsueto trovare Associazioni nate da piccoli gruppi indipendenti, che hanno deciso di unire le proprie forze per provare ad aiutarsi reciprocamente.

Questi spesso non ricevono aiuti dallo Stato, ma si autofinanziano o raccolgono fondi con piccole iniziative.

L’assenza delle Istituzioni è un tema caldo, che agita gli animi dei protagonisti di queste storie, i quali da tempo chiedono comprensione e vicinanza.

Il sentimento più diffuso ad oggi, tra le famiglie e le Istituzioni, è sicuramente quello dell’abbandono. Mancano i sostegni, economici e non solo, che permettano a queste famiglie di sperare che un giorno i loro familiari potranno contare su qualcuno.

E sebbene i progetti residenziali siano regolamentati dalla Legge 112/2016, questi sembrano ancora non trovare uno spazio nel dibattito politico odierno.

 

 

Vuoi avere maggiori informazioni sul Cohousing e gli spazi abitativi?

Contattaci